Una delle decisioni più importanti da prendere quando vogliamo raccontare una storia è quella di stabilire come focalizzeremo l’attenzione dello spettatore.
Recentemente ho riletto qualche pagina di Girare Difficile un libro molto interessante di Steven D. Katz. In questo libro l’autore pone più volte l’accento su due caratteristiche fondamentali del lavoro del film maker: il punto di vista e l’enfasi drammatica.
Che cos’è il punto di vista?
La tecnica di un videomaker prevede necessariamente un allenamento costante, atto al migliorarsi giorno dopo giorno. Il punto di vista è lo “sguardo” che il regista di un video impone allo spettatore.
Mentre un’unica e coerente voce narrante è tipica di un racconto breve o di un romanzo, spiega Katz, nei film narrativi è piuttosto comune un punto di vista fluido che può cambiare da un personaggio all’altro all’interno della scena […] oppure che può mantenere una posizione neutrale.
Il punto di vista è dunque il modo in cui vogliamo raccontare una scena o un’azione e lo raggiungiamo grazie all’applicazione di una logica narrativa e costruendo l’enfasi drammatica della nostra storia.
La logica narrativa
Ciò che un buon film maker deve controllare è quella che chiamiamo “logica narrativa”, ovvero il modo in cui impostiamo la narrazione in modo tale che il suo sviluppo segua l’azione di uno o più personaggi.
In un romanzo possiamo leggere i pensieri del protagonista, possiamo leggere i dialoghi dei personaggi o farci descrivere le vicende da una persona super partes; in tutti i casi avremo un punto di vista specifico, un narratore della storia.
Come decidiamo il punto di vista della nostra storia?
Una scena si apre con il primo piano di un uomo immerso nei suoi pensieri, la telecamera si allontana lentamente dall’uomo e ne scopriamo l’abbigliamento di colore arancione. L’uomo è insieme ad altre due persone vestite di arancione, sono seduti su una panca con aria colpevole. Si apre la porta di una cella, il secondino chiama l’uomo che abbiamo visto in primo piano e lo invita ad uscire. Taglio di montaggio, vediamo l’uomo al cospetto del giudice.
Impostando in questo modo la logica narrativa lo spettatore sarà quasi costretto a immedesimarsi nel personaggio in arresto. Questo perché abbiamo utilizzato uno specifico lessico narrativo sia in scrittura che nella scelta delle inquadrature. I primi piani, il racconto dell’ambiente, l’uomo immerso nello stesso ambiente e lo stesso personaggio al cospetto del giudice, in attesa di un verdetto.
Se avessimo voluto raccontare la storia dal punto di vista del giudice avremmo aperto la sequenza con un dettaglio della sua mano, una penna e un foglio sul banco, l’ingresso della giuria, il primo piano del giudice con espressione preoccupata. L’ingresso dell’uomo in arresto ci sarebbe parso come oggettivo e, guardando la scena, ci saremmo immedesimati nel giudice.
L’enfasi drammatica
Secondo Steven D. Katz l’enfasi drammatica è collegata direttamente alla scala dei piani. Essa può modificare profondamente la qualità della performance di un attore grazie al modo in cui è posizionato nell’inquadratura.
Anche illuminazione, fotografia, scelta delle lenti e montaggio contribuiscono al controllo dell’enfasi drammatica, ma in fase di messa in scena dobbiamo necessariamente considerare la scala dei piani.
Nell’esempio portato in precedenza, il movimento della telecamera che parte da un primo piano e si allontana fino a raccontarci parte dell’ambiente e dei personaggi in scena enfatizza l’importanza della situazione e ne modifica dunque l’enfasi drammatica.
La qualità compositiva e creativa di un’inquadratura influenza l’enfasi drammatica. Per una visione di insieme vi invito a leggere il nostro post su inquadratura e composizione.
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